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VISIONE DELLA GERUSALEMME CELESTE (1629) Francisco de Zurbaràn (1598-1664) Museo del Prado - Madrid Olio su tela cm 179 x 223 |
La scena è immersa in una luce dorata che dà all'insieme un senso di calore ed un'atmosfera pacata e serena. Chiuso in una lunga veste rosa, un angelo sta indicando con la mano destra verso il cielo mentre con I'altra sorregge il suo manto color carta da zucchero.
Il viso e il corpo dell'angelo sono investiti dalla luce emanante dall'apparizione della città luminescente posta nell'angolo sinistro del quadro. È la Gerusalemme Celeste e la mano levata dell'angelo rinvia su di lei l'attenzione del santo che sembra essersi addormentato durante la lettura del libro, collocato a pagine aperte sul semplice tavolinetto di legno che è davanti a lui.
Tuttavia, quello che il santo vive, non è un sogno ma una visione, l'estasi di un momento di distacco dalla transitorietà e materialità della vita per attingere all'imperscrutabilità dell'eterno, del divino. Per questo è caduto in ginocchio davanti al libro nelle cui pagine aveva certo appena letto qualche brano della Sacra Scrittura; e magari proprio sulla Città di Dio e la Gerusalemme Celeste.
La scomoda sedia di traverse incurvate "a gondola" sulla quale egli era prima seduto, è scivolata più lontano sospinta dalla nuova posizione che ha assunto il frate, assorto nella contemplazione della visione paradisiaca che è alle sue spalle. In uno squarcio la città si distende difesa da una cinta di mura turrite che la proteggono da qualsiasi invasione, quasi a dire che I'accesso alla Città di Dio non è consentito, né facile, a tutti.
Intorno, lungo il degradare di una scala che sale, varie figure si dirigono verso le mura per entrare nella Città attraverso le grandi porte lasciate aperte appositamente: sono certo le anime dei beati alle quali soltanto è concesso di solcare le vie della Gerusalemme Celeste.
Firmata in basso a destra - F.co de Z.F - , la tela apparteneva al ciclo per la Merced Calzada a Siviglia. Il contratto, stipulato il 29 agosto 1628 fra il priore del convento Fra' Juan de Herrera e il pittore, prevedeva I'esecuzione entro un anno di 22 episodi della vita di San Pietro Nolasco, fondatore dell'Ordine, da destinarsi al chiostro piccolo e per una cifra complessiva di 1500 ducati.
Poiché una delle tele è datata 1630, è da credere che il ciclo venne portato a termine in ritardo ed integrato con opere non previste nel contratto, fra I'altro non tutte di Zurbaràn.
Venduta dai monaci a Lopez Cepero, la tela passò poi a Ferdinando VII ed è citata nelle collezioni reali a partire dal 1821.
Zurbaràn e il naturale caravaggesco
Il ciclo con le Storie della vita di San Pietro Nolasco della Merced Calzada di Siviglia incontrò immediatamente il favore dei contemporanei ed è spesso citato nelle fonti antiche.
In particolare il Palomino, nel suo "Museo pictorico y escala optica" del 1724, ne parla con tale
fervore da sentirsi di istituire un parallelo nientemeno che con il Caravaggio.
"È incantevole esaminare le vesti dei religiosi, che pur essendo tutte bianche, si distinguono le une dalle altre secondo intensità, con tanta ammirevole precisione di tratti, colore e fattura, da smentire la stessa natura, poiché questo artista era così diligente che tutti i panneggi li studiava sul manichino e le carni sul naturale; e così, seguendo per questo tramite la scuola del Caravaggio cui era tanto fedele, tali cose meravigliose, non conoscendone I'autore, si potrebbero attribuire al Caravaggio stesso".
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