DANAE (1545) Tiziano Vecellio
Gallerie di Capodimonte - Napoli
Olio su tela cm 120 x 172
Cominciata a Venezia e terminata a Roma, la tela è un dono personale di Tiziano al raffinato cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III e promotore del viaggio a Roma del pittore. Mentre era ancora in fase di abbozzo, monsignor Della Casa la descrive così al cardinale Farnese:
"Una nuda che vi faria venire il diavolo addosso".
In effetti, Tiziano ha conferito all'immagine di Danae, visitata da Zeus sotto forma di pioggia d'oro, una vibrante sensualità, ancora più viva rispetto a quella - pur già tanto fremente - presente nella Venere di Urbino () sempre secondo quanto dice monsignor Della Casa, quest'ultima, rispetto alla Danae Farnese, "pare una teatina".
Le pennellate sono morbide e sfatte, come spesso in Tiziano; il pittore supera, con quest'opera, la troppa sottolineatura della plasticità dei corpi, come nei lavori precedenti, per approdare ad uno stile libero e coloristicamente puro.
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VENERE D’URBINO (1537-1538) - Tiziano Vecellio (Vedi scheda) |
Nei ritratti di Tiziano, ciò che distingue il linguaggio, specie se confrontato con quello degli imitatori, è che quelle ampie stesure di colore visualizzano sempre il movimento di una figura sorprendendolo nell'attimo, inesistente nella continuità temporale di cui noi abbiamo esperienza, in cui si offre al massimo della sua ostensibilità, al punto che il moto si allenti fino a fermarsi sopraffatto dall'inquartarsi delle zone di colore e sia possibile godere lo spettacolo di un risvolto che s'imbastisce al dritto della veste, di una camicia che si spartisce lo spazio con un campo di nudità fiorente, di uno scollo che s'inquarta tra le bande di un collare di pelliccia. Ma è chiaro che si tratta di un attimo di stasi in un movimento, perché le cuciture di quei piani, anche delle figure che posano per un rilratto sono sempre inarcate, tese a generare lo spazio del dipinto.
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